» Gaela Bernini
Intervista a Gaela Bernini
Parliamo con Gaela Bernini, capo dell'area progetti di FMpE, Fondazione Milano per Expo, soggetto promotore del progetto JFpA. A lei abbiamo chiesto di raccontarci il suo ruolo all'interno della Fondazione e di spiegarci il significato di sostenibiltà nell'ambito della cooperazione allo sviluppo.
È dato assodato che seguire un progetto di cooperazione internazionale non sia un compito semplice, ci vuol raccontare in che cosa consiste il suo ruolo e le motivazioni che l'hanno spinta ad accettare l'incarico per FmpE?
La cooperazione allo sviluppo è un processo che si basa sul cambiamento con le conseguenti complessità e la multidimensionalità delle azioni connesse. Essere a capo dell'area progetti significa quindi verificare il regolare svolgimento delle diverse fasi del progetto attraverso un monitoraggio programmato, anticipare e intervenire in caso di criticità e valutare i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi. La misurazione dei risultati non è mai compito semplice e si deve evitare il rischio di semplificare o ridurre un fenomeno per poterlo misurare. L'approccio razionale è necessario nella cooperazione internazionale per evitare derive populiste che possono sfociare in assistenza senza autonomia e quindi sostenibilità.
È entusiasmante prestare la propria opera per una Fondazione come FMpE, che da una parte deve realizzare un risultato ambizioso sul terreno quale l'emancipazione economica e quindi sociale di un gruppo di giovani donne togolesi, dall'altra intende offrire la sua esperienza e specificità nel corso di un appuntamento universale come quello di Expo 2015, dove si dibatterà da diverse angolature proprio sui temi del progetto (dinamiche socio-economiche e mercati globali, sviluppo delle comunità rurali e di modelli di consumo sostenibile).
Il terzo obiettivo del millennio prevede l'uguaglianza di genere e l'empowerment delle donne. Lei pensa che il progetto JFpA abbia rispettato tale proposito?
Personalmente credo fortemente nel ruolo di agente di cambiamento della donna e il progetto JFpA altro non è che l'evidenza che lo conferma. I progressi ottenuti hanno accresciuto la sicurezza delle donne destinatarie e il loro ruolo in famiglia.
Qualcosa sta accadendo.
Lo stesso progetto in Togo è stato sviluppato in partnership con il Ministero dello Sviluppo alla Base, la cui ministra è una donna, M.me Dogbè, impegnata e sensibile al tema, ha mostrato una profonda onestà intellettuale sia nella fase di avvio del progetto che nelle fasi di valutazione.
Le chiedo ora di spiegarci con parole semplici il significato di sostenibilità.
Il grande tema dei progetti di cooperazione allo sviluppo è la sostenibilità e, nel nostro caso, se le cooperative femminili saranno in grado di continuare a coltivare, produrre e vendere con marginalità economica sufficiente senza la presenza del personale espatriato di supporto. Per ridurre al massimo il rischio di arresti abbiamo previsto una uscita graduale dal territorio per assicurare un hand over progressivo.
Ma a un certo punto, mutuando le parole di Amartya Sen.: la canna da pesca è costruita e consegnata per essere utilizzata in autonomia.
» Enrico Selmi
Intervista a Enrico Selmi
Parliamo con Enrico Selmi, responsabile coordinamento progetti di MLFM, Movimento Lotta Fame nel Mondo, l’ONG scelta da FMpE quale partner tecnico in Togo. A lui abbiamo chiesto una visione del progetto "dal campo".
Che ruolo svolge il Movimento Lotta Fame nel Mondo in questo progetto?
L’impegno di MLFM IT nel progetto JFpA è quello di mettere a disposizione e coordinare il personale specializzato da trasferire in loco, affinché se ne valorizzi al meglio la presenza, attraverso il confronto quotidiano con lo staff del progetto, con le persone beneficiarie e non ultimo con la ONG locale RAFIA (Recherche, Appui et Formation aux Initiatives d’Auto-développement, fondata in Togo nel 1992, ndr).
In effetti, è la buona riuscita di questi confronti che porta all’ottenimento dei risultati, segno che tutte le mosse giocate per una perfetta integrazione sono andate a segno e che tutte le persone coinvolte hanno capito il loro ruolo e lo occupano da leader.
Cosa è cambiato oggi nella gestione concreta di un progetto come JfpA?
Niente a vedere con quanto succedeva dieci anni fa, quando le tecnologie erano sviluppate solo nel nord del mondo, e i contatti erano epistolari… lettere che impiegavano dieci giorni per arrivare a destinazione, mentre il telefono era solo nelle città importanti.
Ora che i cellulari sono ovunque nei paesi in via di sviluppo e la connessione satellitare è molto diffusa, il mio ruolo dall’Italia prevede continui scambi mail e contatti telefonici, oggi resi istantanei dalle nuove tecnologie di comunicazione.
Ci tengo a sottolineare che i frequenti contatti quotidiani non sostituiscono le missioni di valutazione, che permettono di confrontarsi direttamente con lo staff locale per valutarne lo stato di coinvolgimento e le capacità di gestione, visitare i beneficiari e la loro attività, confrontarsi con il nostro partner locale e non ultimo valutarne lo stato di avanzamento del progetto e sua sostenibilità.
Contatti quotidiani via mail e missioni sul posto, avrai una visione privilegiata del progetto "dal campo"… cosa ci racconti?
È proprio attraverso questo confronto continuo e approfondito che si riescono a monitorare le diverse attività. Dalla coltivazione del pomodoro alla sua trasformazione in concentrato, fino alla produzione di ben sei differenti succhi di frutta che permettono alla cooperativa di trasformazione di lavorare per dodici mesi l’anno.
Oggi la cooperativa Dindann produce bottiglie di succhi e sacchetti di concentrato da vendere sul mercato della Regione delle Savane, sede del progetto, ma ci stiamo organizzando per arrivare, attraversando tutto il Togo, alla Regione Marittima, dove si trova la capitale Lomé.
A monte di questa cooperativa di trasformazione, lavorano quattro altre cooperative di donne che, oltre alla coltivazione dei pomodori, la raccolta e la prima lavorazione, oggi sanno gestire un mulino per macinare i prodotti dei loro campi, un allevamento di maiali per utilizzarne gli scarti della lavorazione e un vivaio di pianticelle da trapiantare sui campi di produzione. Non ultimo la produzione della materia prima per fare i succhi di frutta di Tamarindo, Zenzero e Bissap.
Per concludere, le donne di Jeune Filles pour l’Agro sono sempre più entusiaste e molto più autonome: il futuro di questo progetto dipende dalle radici che saprà mettere il seme della cooperazione e oggi possiamo proprio dire che abbia ben germogliato!
» Davide Martina
Intervista a Davide Martina
Parliamo con Davide Martina, per PuntoSud, la fondazione che si occupa di auditing, monitoring e accountability in Togo. A lui abbiamo chiesto di spiegarci questo aspetto ancora poco diffuso nella gestione della cooperazione internazionale.
Oggi si parla sempre di più di accountability dei progetti di cooperazione, ci fai capire cosa si intende?
È proprio dal continuo sviluppo di metodologie, approcci, applicazioni di 30 anni di cooperazione internazionale che è nata la dimensione dell’ accountability.
Con questo nome si riassumono tutte le modalità in merito alla fattibilità, l’operatività, la comunicazione, la rendicontazione che hanno un solo scopo: far uscire i progetti di sviluppo e di emergenza dall’alibi della singolarità che li fa implodere su se stessi, e condurli a regole condivise, in modo che possano "rendere conto" del loro operato in modo professionale, trasparente e chiaro.
Sei uno dei fondatori della Fondazione Punto.Sud, ci racconti qual è il vostro ruolo?
Fin da quando è nata a Milano, nel 1999, da un gruppo di consulenti, il nostro scopo è stato quello di sostenere e ottimizzare le attività degli organismi che lavorano in campo umanitario e nella cooperazione internazionale. Siamo una specie di ponte tra il donatore e le organizzazioni non-profit.
Quello che facciamo nel monitoraggio, nel supporto help-desk, nella formazione, nella valutazione, nel controllo finanziario non va inteso come una serie di processi aridi e astratti, ma piuttosto come un valore aggiunto, per far emergere gli aspetti qualitativi dei programmi che seguiamo.
Come è nata la collaborazione con Fondazione Milano per Expo?
Quando siamo stati contattati nel 2010, la FMpE cercava un ente in grado di garantire un processo di monitoraggio esterno e di auditing, da effettuarsi su attività e documentazione prodotte dal soggetto implementatore del progetto Jeune Filles Pour l’Agro in Togo.
La proposta della FMpE mi interessava molto perché per una volta non si partiva con regole già scritte e procedure da adattare in corsa, ma finalmente si chiedeva di sviluppare ex ante un pacchetto procedurale e di formati che contemplasse tutte le fasi progettuali.
FMpE aveva come obiettivo di promuovere delle best practices che fossero piena espressione del dna imprenditoriale dei soci fondatori. Ciò ha consentito di disporre di procedure, ispirate al mondo degli imprenditori e sperimentate nella cooperazione internazionale. Il tutto senza nulla inventare, quanto prendendo qua e là buoni esempi per garantire qualità progettuale e proposte da ampliare e discutere con il resto della community della cooperazione.
Non capita spesso di poter essere fin dall’inizio al fianco di chi disegna l’architettura procedurale di un donor, ma stavolta è stato possibile.
Lo sforzo da parte nostra è stato evitare che le procedure di FMpE fossero contaminate dalle tipicità e singolarità del progetto. Non quindi un pacchetto progettuale specifico per Jeune Filles pour l’Agro, ma uno strumento professionale trasversale al controllo worldwide, che considerasse il meglio in essere nel mondo della cooperazione e dell’aiuto umanitario.
Concretamente, cosa avete realizzato?
Partendo dall’esperienza di Puntosud e dai principali manuali di gestione del Project Cycle Management, di Monitoraggio & Valutazione, di controllo finanziario applicato ai progetti di cooperazione internazionale, di procedure previste dai donors internazionali, abbiamo sviluppato le Modalità di Gestione della FMpE: un pacchetto integrato di regole sull’ammissibilità di costi e attività, di formati che accompagnano l’iter progettuale, di risposta alle esigenze di modifiche, monitoraggio, valutazione, auditing e obblighi di visibilità e comunicazione.
Il progetto ha alle spalle tre anni di implementazione, reportistica, audit, vita vissuta che hanno richiesto a volte cambi di rotta dovuti al mutare del contesto, della produzione, delle tecniche, degli eventi climatici, degli assetti amministrativi, ma possiamo dire che le Modalità di Gestione hanno sempre saputo mantenersi come una bussola affidabile, completa e pragmatica.
Quindi, missione compiuta?
In questo la FMpE ha certamente raggiunto uno dei suoi scopi: dimostrare al vasto mondo della cooperazione internazionale che è possibile lavorare con regole definite e certe, non ingombranti e burocraticamente affaticanti, quanto basate su chiare regole di accountability che rendono fluida la vita progettuale, se sempre tenute presenti e applicate nella loro trasversalità.
Nessuna obiezione?
Certo, il monitoraggio in progress ha un costo, ma ritengo che sia un investimento dovuto per rendere conto a chi ha donato: siano le imprese nel caso della FMpE, ma anche i cittadini che pagano le tasse.
» Mariacristina Cedrini
Intervista a Mariacristina Cedrini
Parliamo con Mariacristina Cedrini, Direttore di Fondazione Milano per Expo, che ha partecipato ai Focus Group di identificazione del progetto con le autorità locali e la società civile in Togo e a tutte le fasi di elaborazioni del progetto.
Come siete arrivati a identificare la filiera del pomodoro come opportunità di progetto?
Già in fase di candidatura della città di Milano per l’Expo del 2015, gli imprenditori italiani hanno avuto modo di comprendere l’importanza di relazioni internazionali basate sui veri bisogni dei Paesi emergenti. Quindi quando le autorità togolesi hanno manifestato l’interesse ad essere coinvolti in un progetto che potesse rientrare tra quelli di possibile contributo al landmark culturale voluto da EXPO 2015, ci siamo impegnati ad identificare delle aree di criticità dove un progetto avesse senso sia per lo sviluppo del Paese sia come modello per la Fondazione stessa. La filiera del pomodoro è risultata come area d’intervento particolarmente significativa per il coinvolgimento di giovani donne, tema a cui noi di FMpE siamo molto sensibili, per il ruolo chiave delle donne nella cooperazione allo sviluppo e nel settore imprenditoriale italiano. Non ultimo il contenuto è pertinente con il tema di Expo 2015.
Le donne vanno al mercato anche oggi, hanno già una qualche attività legata alla trasformazione del pomodoro. Cosa può cambiare il progetto di FmpE?
Questo è proprio il tipo di intervento in linea con l’approccio di FMpE. Un progetto che si inserisca naturalmente nella realtà del Paese, affrontando concretamente alcuni problemi e, attraverso lo sviluppo, offrendo delle ipotesi di soluzioni. Le donne in Togo sono particolarmente attive nella raccolta del pomodoro che poi distribuiscono al mercato, dopo un lavoro di trasformazione su piccolissima scala e quasi sempre di dimensione familiare. Le criticità sono legate principalmente alla qualità del prodotto determinata dalle scarse possibilità di igiene e di supporto tecnico nella trasformazione, dalla difficoltà di conservare correttamente il prodotto, date le condizioni climatiche e dalla commercializzazione oltre il mercato del villaggio. Il progetto di FMpE metterà queste donne in condizione di avere adeguata formazione su tutti i passaggi della filiera, di arrivare ad un prodotto finale di standard ottimale, di commercializzarlo attraverso canali adeguati. Le donne coinvolte nel progetto potranno accedere a forme di microcredito e affrancarsi con imprese di micro imprenditorialità.
In che modo pensate di coinvolgere l’eccellenza delle imprese italiane in questo progetto?
Il mondo imprenditoriale si è già fatto coinvolgere, come Associazione, quando attraverso un gruppo di importanti imprenditori ha aderito con slancio alla candidatura di Milano per l’Expo del 2015. Dato il crescere dell’importanza dei progetti si è ritenuto chiave strutturarsi in Fondazione, oggi denominata Fondazione Milano per Expo, attraverso anche il sostegno di Assolombarda e Camera di Commercio di Milano. L’esistenza stessa di FMpE è il segno di una presenza attiva, partecipe e profondamente coinvolta dell’imprenditoria italiana. È vero poi che nei singoli progetti avremo la possibilità di identificare le imprese più vicine per conoscenze e tecnologie e buone pratiche già sperimentate. È questo infatti il ruolo di FMpE: una connessione tra le esigenze dei Paesi dove si indirizzano i nostri progetti e il mondo imprenditoriale, anche nella straordinaria gamma di competenze così ben rappresentate da Assolombarda e Camera di Commercio di Milano.